Sorvegliati Digitali – Fulvia Richiardone

Pochi ne parlano, molti cercano di non pensarci per paura di quello che potrebbero scoprire, ma ormai non possiamo negare di essere diventati Sorvegliati Digitali. Tutto ciò che facciamo online viene tracciato, i dispositivi ultratecnologici di cui ci piace circondarci prelevano i nostri dati, conoscono le nostre abitudini e tutte queste informazioni, una volta elaborate, tramite il processo di intelligenza arificiale, vengono trasformate in “prodotti predittivi” (che possono prevedere il nostro comportamento), vendute più volte (perchè uno stesso dato più essere venduto ad un numero illimitato di acquirenti) nel “mercato dei comportamenti futuri”, dove molte aziende hanno interesse a comprare. In questo modo le nostre scelte future diventano prevedibili e possono essere influenzate, comprese le scelte politiche ed economiche.

Abbiamo perso il controllo sull’uso dei nostri dati e nonostante vi siano leggi a tutela della privacy, queste vengono costantemente violate, perchè conviene pagare le multe piuttosto che rinunciare a incassare cifre inimmaginabili dal commercio dei nostri dati.

Tutto questo ce lo spiega Shoshana Zuboff, professoressa alla Harvard Business School che ha raccolto tutte le sue ricerche in un libro: Il Capitalismo della Sorveglianza.

PenSiamo sta svolgendo un progetto di ricerca sulla questione per poter diffondere una corretta informazione e portare ad una maggiore consapevolezza gli utenti ignari.

Per donne e uomini: istruzioni per non avere paura di una donna al potere – Fulvia Richiardone

La scelta di una donna come vice presidente degli Stati Uniti fa pensare parecchio.

Soprattutto perché a sceglierla è stato un uomo, un uomo, che così facendo, dimostra di non aver paura di essere messo in ombra da una donna capace e competente.

Anzi Kamala Harris è stata scelta anche nell’ottica di prendere un giorno il posto di Joe Biden considerando la di lui età avanzata. Questi sono fatti, non parole.

Spesso invece siamo bravi/e solo a parole a dire che le donne valgono quanto gli uomini. Ci comportiamo come se non potessimo ammettere che in un sistema basato sui diritti quale il nostro, l’uguaglianza tra uomo e donna di fatto non c’è ancora. E che non ci sia è evidente. Se ci fosse, sarebbero donne almeno la metà dei membri delle più alte cariche dello stato, del settore pubblico e di quello privato. Gli uomini otterrebbero mesi di paternità dopo la nascita dei/lle figli/e e la gestione famigliare sarebbe divisa tra uomo e donna.

Perché la parità esiste nelle parole ma non nei fatti?

Perché il modello sociale più diffuso, sia tra donne che tra uomini, è ancora quello dell’uomo che mantiene la famiglia e della donna che, pur lavorando, guadagna meno del marito, in compenso ha maggiore responsabilità sulla crescita dei figli, gestione della casa e della famiglia in generale.

Socialmente non c’è problema ad accettare che una donna non lavori per occuparsi della famiglia, mentre è più difficile accettare che un uomo non lavori per occuparsi della famiglia. L’uomo in questione viene subito sminuito, nel senso di privato di gran parte della sua virilità. La donna invece viene considerata normale perché sminuire le aspettative professionali della donna è qualcosa che siamo abituati a fare, è normale.

Il modello sociale ci influenza al punto che, anche se pensiamo che le donne siano capaci quanto gli uomini, in realtà nel momento di agire ci tiriamo indietro perché permane un’aspettativa sociale di divisione di ruoli tra uomo e donna. 

Molti uomini si sentirebbero di fatto sminuiti se avessero una donna che guadagna/lavora più di loro e molte donne si sentirebbero in colpa se avessero posizioni professionali più alte dell’uomo.

A un’analisi approfondita questo  modello sociale lede tanto gli uomini quanto le donne.

Lede gli uomini perché l’aspettativa sociale li costringe a dover dimostrare di essere professionalmente superiori alle donne in un periodo storico in cui sempre più donne lavorano intensamente per sviluppare la loro professionalità. Se in passato questo ruolo di superiorità lavorativa era per gli uomini accessibile perché la maggior parte delle donne non aveva aspettative professionali, oggi invece diventa un obiettivo irraggiungibile.

Se gli uomini devono quindi lasciare spazio alle donne in ambito lavorativo perché è dimostrato che il contributo femminile, anche in posizioni di comando, porta a una crescita economica, le donne invece devono lasciare spazio agli uomini all’interno della famiglia, perché è dimostrato che un padre presente e coinvolto farà del bene ai/lle figli/e.

Pertanto se siamo d’accordo nel considerare lo sviluppo economico e il benessere sociale come obiettivi principali della nostra società dobbiamo permettere questo cambiamento.

Come possiamo farlo?

Ad esempio come ha fatto Joe Biden: consapevole che uomini e donne non sono due squadre ma una sola, non ha paura che una donna possa affiancarlo ed eventualmente succederlo. Anzi ne ha scelta una, per di più di origine afro-asiatica. Questa scelta rende manifesto che per Biden mettere uomini e donne sullo stesso piano sia una consapevolezza acquisita e che collaborare, proprio in condizione di parità, possa essere elemento di forza e non di debolezza nel perseguimento di un obiettivo finale che non può che essere comune a uomini e donne.

Poter provare fiducia fin da quando siamo neonati determina il nostro benessere mentale da adulti – Dott.ssa Stefania Berno, psicanalista infantile

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All’interno della campagna “TRUST IS SMART”, la Dott.ssa Stefania Berno, psicanalista infantile, spiega perchè TRUST IS SMART IN FAMIGLIA.

Fin dai primi mesi di vita si strutturano le basi per quella che sarà la capacità di avere fiducia in sé stessi e negli altri.

Il neonato prova emozioni che non riesce ancora a comprendere e ha bisogno del genitore che tenti di comprendere quello che il neonato sta provando. È importante considerare che il genitore non può comprendere sempre ma è fondamentale essere disponibili a provarci. Per esempio, quante volte abbiamo visto l’inizio del pianto di un neonato? Il genitore che ha il desiderio di comprendere inizia a farsi delle domande sul motivo del pianto. Sarà mal di pancia? Fame? Potrebbe non essere nessuna di queste ma il neonato è in grado di percepire la disponibilità del genitore a comprenderlo per aiutarlo.

Al contrario, se il neonato non sente la disponibilità a comprenderlo o sente addirittura il rifiuto, cioè il genitore che si allontana o si arrabbia perché non riesce a tollerare le emozioni provocate in lui dal pianto del neonato, questi ne sarà spaventato. Infatti il neonato avrà paura lui stesso delle proprie emozioni perché queste non sono state accolte dal genitore che per lui rappresenta la possibilità di poter avere un contenitore che possa accogliere e digerire le emozioni provate. Per esempio, al neonato che piange nella culla vengono dati oggetti consolatori (es. il ciuccio) ma non accompagnati dal desiderio di accudire e comprendere piuttosto di zittire un pianto percepito come intollerabile dal genitore.

Bisogna rispettare e comprendere le difficoltà del genitore e non giudicarlo per questo, perché in questo scambio genitore-neonato rientrato in gioco le esperienze infantili del genitore che a sua volta può non essere stato compreso da piccolo.

E’ infatti molto importante dare un sostegno ai genitori nei primi anni di vita del bambino per permettere ai genitori di entrare in contatto consapevolmente con le loro esperienze infantili anche se difficili al fine di costruire al meglio il rapporto con i propri figli. La Tavistock Clinic di Londra, centro mondiale di ricerca per l’infanzia, che ha tra i suoi membri gli psicanalisti infantili internazionalmente più accreditati (Melanie Klein, Esther Bick, Donald Winnicot…), da anni lavora sull’osservazione madre-neonato (Infant Observation) per poter spiegare ai genitori come la struttura psicologica del neonato evolve a seguito del rapporto con i genitori. Accedendo in questo modo ad aspetti di cui i genitori non possono essere consapevoli ma che sono invece molto importanti.

Nel caso il genitore non riesca ad accogliere le emozioni del neonato a causa delle sue difficili/non sufficientemente buone esperienze infantili, è ancora possibile intervenire con l’intervento di uno psicanalista. Qui l’adulto rivive le sue esperienze neonatali e trova nella mente strutturata dell’analista il contenitore che le accoglie e le elabora definendole e restituendole al paziente in modo riconoscibile e digeribile. In questo modo il genitore ne diventa consapevole e grazie a questa consapevolezza può cambiare il suo modo di relazionarsi al proprio figlio. Ad esempio, quando il bambino piange nella culla, il genitore può, prima sentirsi sopraffatto dalla paura dovuta alla sua esperienza infantile ma potrà poi riconoscerla e quindi limitarla. A questo punto sarà in grado di attivare comportamenti più costruttivi con il neonato.

Classi on line? Una sfida per il futuro

classi on line
Il coronavirus ha costretto le scuole di molti paesi a modificare il modo in cui insegnare per adattarsi alla mancanza di presenza fisica in classe. Con molta fatica la maggior parte degli insegnanti sta cercando di sperimentare nuovi metodi on line, mentre altri si limitano a dare e correggere compiti a distanza. I genitori sono sfiniti, tra lo smart working, la gestione della casa, la mancanza dei nonni come aiuto, i compiti dei figli…

Tutto questo succede mentre migliaia di persone muoiono ogni giorno o sono in ospedale in pericolo di vita a causa del coronavirus.

Dal mese di marzo 2020 in Italia quasi tutte le scuole stanno usando una forma di insegnamento a distanza. In particolare, nel 97,7% delle scuole la totalità o maggioranza del personale insegna a distanza (indagine Cisl su un campione di 2600 scuole, il 30% del totale delle scuole in Italia).

Questo improvviso spostamento verso la didattica on line ha costretto la scuola italiana a un cambiamento repentino. Le insegnanti si sono viste di punto in bianco costrette a cambiare metodo didattico affrontando grandi problemi. Tra questi sicuramente anche il fatto di non sapere come organizzare una lezione on line.

Per sapere come tenere un corso on line ci vogliono ore di preparazione. Le dinamiche della didattica on line sono diverse da quella frontale. Si dovrebbe, ad esempio, seguire un corso su come insegnare on line e poi iniziare a sperimentare quanto appreso. Terminata la sperimentazione si potrebbe essere pronte per la didattica on line. Ma non c’è stato il tempo per fare tutto ciò!

Buttate dall’oggi al domani nel mondo della didattica on line le insegnanti devono improvvisare. Possono cercare di applicare metodi simili a quelli della didattica frontale, apportando qualche piccolo cambiamento. Questo è un ottimo inizio, purtroppo però non è abbastanza per organizzare un corso efficace. Ed alla fine le insegnanti potrebbero arrivare alla conclusione che l’insegnamento on line non funziona.

In realtà la didattica on line può essere usata in sostituzione/in aggiunta alla didattica frontale, almeno per un certo periodo. Fa mancare la spontaneità ed immediatezza delle interazioni ma apporta sicuri vantaggi in un periodo di emergenza come questo.

Infatti da anni la didattica on line viene usata in diversi centri di formazione e Università (alcune sono completamente on line), dove i metodi di insegnamento sono stati progettati per insegnare a distanza. Si fa uso di classi on line, webinar, forum scritti, quiz, meeting individuali on line con il docente… In questi centri gli effetti della mancanza della vicinanza fisica vengono minimizzati, prevedendo strumenti alternativi.

È importante inoltre osservare che la didattica on line può essere molto utile agli stessi studenti, per due motivi. Innanzi tutto perché conference call, email, webinar sono tutti strumenti usati da chi lavora, dove ormai la distanza fisica ha acquisito meno rilevanza. In secondo luogo, la didattica on line si avvicina al modo di comunicare e imparare dei giovani che sono nativi digitali.

Insegnamento basato sul Pensare per affrontare le sfide della scuola ai tempi del coronavirus e oltre…

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Una didattica basata sul pensare consiste in: analisi, ricerca, domande, confronto, applicazione, valutazione. Qualsiasi situazione gli studenti si trovino davanti dovranno prima analizzarla a fondo, aiutandosi con mappe mentali, cercando di capire di cosa si tratta esattamente. Dovranno fare ricerche per capire meglio alcuni aspetti, dovranno porsi domande su ciò che non è chiaro, dovranno confrontarsi con gli altri per comprendere la diversità di prospettive, dovranno provare ad applicare le conclusioni a cui sono arrivati, dovranno valutare se il tutto può funzionare, dovranno prevedere e decidere se poter correre rischi… Una didattica basata sul pensare costringe gli studenti ad essere attivi nel loro apprendimento, tutto dipende dal modo in cui pensano e non da ciò che ricordano.

Le scuole che applicano un metodo basato sul pensare si sono adattate all’insegnamento a distanza in modo efficace. Offrono classi on line, dove gli studenti partecipano attivamente alla lezione, pongono domande, fanno ricerche, si confrontano in discussioni on line, applicano/sperimentano, fanno valutazioni e arrivano a conclusioni. Lavorano su progetti a casa e on line, che li portano ad analizzare, valutare, ricercare, prendere decisioni, fare previsioni… Confrontano poi i progetti nelle classi on line. I professori non hanno problemi a fare le valutazioni perché le basano sul lavoro svolto nel complesso da ciascun studente.

Infine, questi studenti diventano adulti consapevoli perché applicheranno lo stesso procedimento nella vita. E ciò che conta è che imparano a scuola un modo di lavorare che, applicato in un futuro contesto lavorativo, darà efficacia e quindi successo al loro lavoro.

Un compleanno di Relax…

terra relax
Earth Day: oggi cinquantesimo anniversario della festa della terra! Senza volerlo le abbiamo regalato un compleanno di relax… In questi giorni di quarantena la terra è magnifica, ci manca… vogliamo davvero che torni come prima del Corona virus?

In base a diversi studi (University of California, Ohio State University, 2015) il primo segno di contaminazione umana risale al 1540 in Sud America. In una lastra di ghiaccio delle Ande peruviane sono stati trovati i primi segni di intenso inquinamento dovuto all’attività metallurgica coloniale spagnola. Sono quasi 500 anni che inquiniamo la terra!

TRUST IS SMART

trust is smart

La fiducia ha un ruolo fondamentale nelle relazioni umane.

In famiglia, se abbiamo fiducia nei nostri cari, stiamo tutti meglio, siamo più felici e più rilassati.

In ufficio,se abbiamo fiducia nei nostri colleghi, siamo più creativi, produttivi e ci divertiamo di più.

Come cittadini, se abbiamo fiducia nel nostro governo e accesso alle informazioni, partecipiamo e collaboriamo nella vita pubblica.

Gli Stati, se hanno fiducia negli altri governi, possono impegnarsi più facilmente ed efficacemente in una cooperazione reciproca in tutti i settori: scienza, finanza, beni di consumo…

La fiducia è parte fondante dell’attività di PenSiamo che inizia oggi la campagna: TRUST IS SMART.

Gianni Rodari

gianni rodari piccola

Gianni Rodari, un grande pansatore critico che ha usato la sua creatività per migliorare il mondo. Oggi l’anniversario della sua morte, 14 aprile 1980.

Grazie per tutto e anche per aver anticipato che la vera scuola è il mondo e non viceversa!

“C’è una scuola grande come il mondo…
ci si impara a parlare, a giocare, a dormire, a svegliarsi, a voler bene e perfino ad arrabbiarsi…
ci sono esami tutti i momenti ma non ci sono ripetenti…
questa scuola è il mondo intero, quanto è grosso: apri gli occhi e anche tu sarai promosso.”

La propensione a fregare gli altri mostra finalmente i suoi limiti

Qualche stampa straniera ha scritto che temono che gli italiani non riescano a rispettare le regole perché cercano di applicare la “furbizia” (scritta in italiano). In Italia sono comparse molte vignette di gente sulle piste da sci che dicono: “vedi sono più furbo, il virus con me non attacca!”.
Dobbiamo riconoscere che il ricorso alla furbizia è di molta gente comune e non del governo. Mi sembra che il nostro governo si stia comportando molto bene anche se, a parer mio, avrebbe potuto essere più tempestivo cercando di prevedere la situazione, studiando meglio ciò che era successo nei paesi che ci hanno preceduto. Chi non si comporta bene è invece molta gente comune…
E se fosse questa l’occasione per uscire dalla sindrome furbizia e crescere? E se fosse l’occasione in cui la propensione a fregare gli altri mostra finalmente i suoi limiti? Semplicemente perché se si continua a cercare di fare i furbetti non se ne esce. La terapia per guarire è proprio l’opposto: un’assunzione di responsabilità collettiva. Quello che faccio può danneggiare gli altri in modo esponenziale ed alla fine ripercuotersi contro di me, quindi faccio ciò che devo fare, adotto tutte le misure preventive possibili. Gli altri e l’io diventano il noi e noi tutti dobbiamo agire insieme, dobbiamo essere disciplinati per uscire da questa situazione.
Qualcuno ha detto “la dedizione porta alla libertà”, questa affermazione mi sembra perfettamente adeguata alla situazione attuale. La dedizione che comporta avere degli obiettivi, praticare la disciplina, pensare attentamente ci porterà alla libertà dal virus e non solo.
Dicevo che il ricorso alla furbizia è più della gente comune che del governo perché mi sembra che il governo italiano, rispetto ad altri governi europei, si sia comportato in modo più trasparente. Infatti, non credo sia l’Italia il paese europeo che ha più contatti con la Cina. Basterebbe vedere quanti voli da/per la Cina partivano ogni giorno da Milano e Roma e quanti invece da Parigi, Londra, Francoforte… E’ plausibile pensare che siano i paesi con più contatti con la Cina i primi ad aver subito il contagio. Allora non è la nostra politica a fare la furbetta mentre forse lo stanno facendo i politici di altri paesi europei che non comunicano il numero di persone malate. In Italia non siamo ai livelli di Singapore, dove vengono rese pubbliche anche le strade dove si è trovata una persona contagiata, ma forse ci stiamo comportando molto meglio di altri.
Per cui penso che se la nostra politica non sta facendo la furbetta ed è diventata responsabile, forse perché è il modo migliore per affrontare la situazione, la stessa cosa dovremmo fare noi italiani. E’ una grande occasione, cogliamola!

Pensiero Critico all’Università… e a scuola?

Oggi su La Repubblica è pubblicato un articolo dove si spiega quanto sia utile imparare a pensare in modo critico per gli studenti universitari. Si precisa come vengano organizzati corsi ad hoc in diverse Università italiane mentre all’estero, si dice, ciò avviene già da tempo.

La domanda è: perchè aspettare fino all’Università prima di imparare a pensare? Non si tratta di uno sforzo inutile? Nel senso: prima ti insegnano a non pensare mandando a memoria nozioni su cui non puoi neanche immaginare di avere un’opinione divergente, che sarebbe invece da discutere e confrontare nel rispetto di tutti. Poi quando sei ormai grande e vai all’Università finalmente ti insegnano a pensare, cioè ti insegnano ad avere una tua opinione su fatti, circostanze ed azioni da discutere e confrontare con gli altri nel rispetto reciproco.

Prima sei solo una scatola vuota da riempire e poi quando sei ben piena con nozioni granitiche ti dicono di mettere tutto in discussione.

Tutto questo con grande danno della maggioranza degli italiani che all’Università non ci va. E che dire di chi ci va ma non va proprio in quelle Università che hanno introdotto corsi sul Pensiero Critico?

In ultimo, il Pensiero Critico non dovrebbe essere oggetto di un corso ad hoc ma dovrebbe essere invece il modo in cui tutte le materie vengono studiate.

PenSiamo da anni lavora per questo e per farlo è andata a cercare esperienze dentro e fuori dall’Italia che da diversi decenni applicano il Pensiero Critico nell’educazione, cioè nella scuola dell’obbligo.

Queste realtà esistono e anche da molto tempo ma forse a noi sembrano innovative…