Sono un uomo, ho 38 anni e tre giorni fa, durante una tavola rotonda organizzata dall’associazione White Ribbon Canada1 dal titolo “Uomini come alleati per la parità di genere”, ho sentito per la prima volta l’espressione “toxic masculinity” – mascolinità tossica – che porta alla violenza basata sul genere.
Quanti di noi uomini hanno mai sentito tale espressione? Quanti di noi si sono mai interrogati su cosa sia una mascolinità sana e cosa una mascolinità tossica? Ma soprattutto, cosa ci porta a sviluppare una mascolinità tossica piuttosto che sana?
Al primo quesito, ognuno di noi può dare la propria risposta. In una ristretta cerchia di amici a cui ho chiesto, nessuno aveva mai sentito quest’espressione.
Una sana mascolinità non può prescindere dal rispetto delle donne, ma anche di ogni essere umano in generale. Come ben espresso dai partecipanti alla tavola rotonda di White Ribbon, una sana mascolinità non sopprime il naturale essere uomini, ma nemmeno lo limita con stereotipi che vedono un segno di virilità nel reprimere emozioni e sentimenti. Una sana mascolinità è quella che permette ad un uomo di esprimere amore, gioia, tristezza o paura. E’ quella che permette ad un uomo di piangere, di sbagliare, di sentirsi debole e vulnerabile, senza per questo ritenersi sconfitto e fargli venire meno la forza di rialzarsi e ricominciare.
Una mascolinità tossica è invece quella che porta a reprimere le proprie emozioni, e che sfocia nella violenza nei confronti delle donne in primis, ma aggiungerei anche nei confronti degli altri uomini e spesso di sé stessi. Infatti, tutte quelle volte che reprimiamo una vibrazione della nostra anima per non disattendere un’aspettativa sociale ed ambientale, è una violenza fatta a noi stessi, che può poi essere rovesciata su chi abbiamo attorno.
Importante è poi considerare che violenza è un termine molto ampio, e non deve essere ridotto ad un atto fisico. Violenza è qualsiasi atteggiamento di prevaricazione, è qualsiasi accettazione di privilegi o penalizzazioni basati sul genere, è negare ciò che è altro, è respingere l’ascolto ed è una disposizione mentale che tende a schiacciare, volendo creare un rapporto di subalternità.
Ma soprattutto, cosa ci porta a sviluppare una mascolinità tossica?
In modo acuto e preciso, il filosofo Umberto Galimberti sostiene che “l’identità non è una dote naturale, ma è un dono sociale”2, è cioè il frutto del riconoscimento datoci dagli altri. Anche in un articolo scritto per presentare la campagna “Boys don’t cry”3, portata avanti da White Ribbon, viene presentato un concetto simile, ovvero nel momento in cui nasciamo il nostro genere ci attribuisce caratteristiche e regole di comportamento. Tipicamente l’uomo è duro, non piange, non mostra sentimenti né debolezze, non ha paura e deve avere successo. Una pubblicità di alcuni anni fa, proponeva un profumo come quello per “l’uomo che non deve chiedere mai”.
Sebbene alcuni passi avanti siano stati fatti – lo provano la partecipazione attiva di uomini in White Ribbon e lavori come il libro di “How to raise a boy” di Michael Reichert4 – questi sono stereotipi ancora presenti, a cui contribuisce l’intero apparato sociale e che hanno un rapporto di causalità con la disparità di genere e le violenze. Dobbiamo superarli assieme, uomini e donne.
In primis, ogni uomo deve iniziare a condannare fermamente e deprecare ogni atto di violenza o comportamento sessista, per piccolo che possa essere e per quanto perpetrato da persone a noi vicine. Battute sessiste, apparentemente innocue, ma che non lo sono e che feriscono, possono celare una radicata disposizione mentale che può portare a rapporti tossici e violenti. Pur avendo sempre parteggiato per equità e rispetto e non essendomi mai ritenuto violento, confesso di aver fatto battute sessiste senza quasi rendermene conto, perché normalmente accettate ed attese dagli altri uomini e da alcune donne, ma involontariamente subite dalla gran parte delle altre donne. Sembrava quasi naturale e richiesto dal mio essere uomo.
Il punto non è negare l’esistenza di differenze di genere che ci sono per natura e che non devono assolutamente essere annullate. La diversità nel mondo è sempre un valore ed una ricchezza. E non dobbiamo nemmeno rifiutare la possibilità di scherzare e giocare con queste differenze, ma dobbiamo imparare a ridere con e non a ridere di. Lo scherzo ed il gioco devono essere fatti assieme, nel pieno rispetto dell’individualità di ciascuno, del genere e con divertimento reciproco.
Ma una ferma condanna di atteggiamenti sessisti non sarà sufficiente a risolvere il problema. Serve un impegno collettivo a più livelli, che coinvolga in ogni ambito adulti e ragazzi, uomini e donne. L’associazione White Ribbon sul suo sito propone un interessante decalogo di come promuovere una sana mascolinità5. Alla base di questi dieci consigli pratici, c’è l’educazione a provare emozioni, l’abitudine al confronto e il rispetto delle diversità.
I cambiamenti comportamentali devono essere opportunamente stimolati, una corretta e strutturata educazione è necessaria e campagne di sensibilizzazione volte a rovesciare modelli negativi possono essere molto utili, ma ritengo che l’attualizzazione del cambiamento si abbia solo nel quotidiano agire concreto. Impegnamoci tutti!
Bibliografia
- https://www.whiteribbon.ca/#
- Umberto Galimberti, L’identità – YouTube
- https://www.whiteribbon.ca/boysdontcry.html
- “Non educate i ragazzi alla mascolinità tradizionale”, Livia Paccarié interista Michael Reichert, Huffington Post, 30 Ottobre 2020 (huffingtonpost.it)
- how_to_promote_healthy_masculinity.pdf (whiteribbon.ca)