Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, amici e colleghi, sapevano che sarebbero stati uccisi, sapevano che la mafia non avrebbe potuto ucciderli senza il supporto dello stato, stato che sospettavano avesse il nome di Giulio Andreotti.
Nonostante la consapevolezza che avrebbero presto perso la vita non si sono fermati, non hanno scelto di vivere nella paura, piuttosto hanno superato la paura e scelto di morire per continuare a fare ciò in cui credevano.
In “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, Agnese Borsellino scrive: “Paolo mi ripete: è normale che ci sia paura in ogni uomo. Ma l’importante è che la paura sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna mai farsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti” (p. 75).
Credo che sia questo uno degli insegnamenti principali da portare ai giovani nelle scuole: la paura ci blocca ma possiamo, se lo vogliamo, prendere la decisione di superarla ed andare avanti per arrivare proprio dove vogliamo e non deviare verso scelte di opportunità.
Paolo Borsellino è convinto che il coraggio sia la ricerca incessante della verità.
Credo che sia proprio la determinazione a cercare la verità a far crescere il coraggio. Se decidiamo di cercare la verità dobbiamo munirci di coraggio anzi cercando la verità il coraggio si alimenta, cresce. Non cercandola il coraggio si riduce, sparisce e sopraggiunge l’autorità della paura che blocca.
Avere il coraggio di continuare a cercare la verità, non è questo l’obiettivo ultimo del Pensiero Critico? Ed è questo ciò che PenSiamo sta portando nelle scuole.
Molte risposte alle nostre domande su come fare a cercare la verità, ce le danno Paolo Borsellino e Giovanni Falcone per bocca della moglie di Borsellino: Agnese (Ti racconterò tutte le storie che potrò – Feltrinelli) e della sorella di Falcone: Maria (Giovanni Falcone, un eroe solo – Rizzoli).
1. Pazienza, amore, forza, determinazione: “Le parole dolci e chiare di Paolo che esprimevano fiducia negli uomini e nelle cose. Di queste parole abbiamo bisogno. Sono necessarie soprattutto la pazienza e l’amore di Paolo. La sua forza e la sua determinazione. Io, che ne sono stata testimone vorrei che questi sentimenti fossero ancora vivi. Vorrei fossero il motore delle azioni di tanti giovani, in cui Paolo rivive” (p. 105).
2. Essere liberi: “… nulla si doveva chiedere che non fosse dovuto o che non si potesse ottenere con le proprie forze. Diceva Paolo che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dover essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi di non essere più liberi bensì condizionati, sotto ricatto, fino a che non si restituisce il favore ricevuto” (p. 154).
“… bisogna avere, si deve avere il coraggio di evitare o troncare amicizie, frequentazioni o semplici contatti con persone importanti o altolocate chiacchierate da cui si possono trarre favori più o meno leciti; si deve avere la forza di rinunciare a coltivare rapporti con persone che nel tempo hanno intrapreso un’altra strada, la strada della contiguità e della complicità con il malaffare e la delinquenza i genere” (p. 111).
3. Errore come risorsa: “Che cosa abbiamo sbagliato? Che cosa avremmo potuto fare per evitare l’errore?”. Questo era un tratto caratterizzante di mio fratello: cercava sempre di migliorarsi. Se voleva raggiungere uno scopo, era per lui cruciale scegliere il metodo giusto ed impegnarsi al massimo” (p. 51).
4. L’entusiasmo nel proprio lavoro è una conditio sine qua non e non ci può essere entusiasmo se non c’è libertà: “Nell’anno e mezzo trascorso a Roma [al ministero], Giovanni sprigionava un’energia talmente positiva da diventare contagiosa. Persino al ministero un inserviente mi avrebbe raccontato più tardi che l’arrivo di mio fratello aveva cambiato aria e risvegliato in tutti voglia di lavorare ed entusiasmo” (p. 148).
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